Detrazioni investimenti in start-up e PMI innovative e ipotesi di decadenza

L’Agenzia delle entrate si sofferma in materia di detrazioni per investimenti in start-up e PMI innovative, fornendo chiarimenti sulle ipotesi che possono portare alla decadenze delle agevolazioni fiscali (Agenzia delle entrate, risposta 13 luglio 2023, n. 390)

L’articolo 29, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, disciplina una detrazione dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche pari al 19% della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più start-up innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in startup innovative.

A decorrere dall’anno 2017 è stato, poi, disposto l’aumento al 30% dell’aliquota della detrazione.

Tale detrazione si applica anche agli investimenti in PMI, nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dagli orientamenti sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il finanziamento del rischio.

Successivamente è stata introdotta una detrazione maggiorata per le persone fisiche, pari al 50% dell’importo investito in start-up e Pmi innovative, ai sensi del Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione europea del 18 dicembre 2013 sugli aiuti de minimis.

La suddetta detrazione può essere fruita a condizione che l’investimento sia mantenuto per almeno 3 anni. L’eventuale cessione, anche parziale, dell’investimento prima del decorso di tale termine, comporta la decadenza dal beneficio e l’obbligo per il contribuente di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali.

 

I decreti del MEF del 7 maggio 2019 e e del 28 dicembre 2020 disciplinano la decadenza dal diritto alla fruizione dell’agevolazione, che interviene al verificarsi di specifici eventi prima di un periodo minimo di detenzione dell’investimento effettuato, c.d. holding period.

In particolare, l’articolo 6 del decreto del 7 maggio 2019 e l’articolo 7 del decreto 28 dicembre 2020 stabiliscono al comma 1, che il diritto all’agevolazione decade se, entro 3 anni dalla data in cui rileva l’investimento ai sensi dell’art. 3, si verifica:

 

– la cessione, anche parziale, a titolo oneroso, delle partecipazioni o quote ricevute in cambio degli investimenti agevolati ai sensi dell’art. 3, inclusi gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e i conferimenti in società, salvo quanto disposto al comma 3, lettere a) e b), nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni o quote;

 

– la riduzione di capitale nonché la ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote delle start-up innovative o delle PMI innovative ammissibili o delle altre società che investono prevalentemente in startup innovative o PMI innovative ammissibili e le cui azioni non siano quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione;

 

– il recesso o l’esclusione degli investitori di cui all’art. 2, comma 1.

 

Non rientrano tra le cause di decadenza dall’agevolazione, invece, i trasferimenti a titolo gratuito o a causa di morte del contribuente, nonché i trasferimenti conseguenti alle operazioni straordinarie di cui ai capi III e IV del titolo III del Tuir.

 

Chiarisce l’Agenzia delle entrate che, nel periodo d’imposta in cui si verifica la decadenza dall’agevolazione, il soggetto passivo che ha beneficiato dell’incentivo deve incrementare l’imposta lorda di tale periodo di un ammontare corrispondente alla detrazione effettivamente fruita nei periodi di imposta precedenti, aumentata degli interessi legali.

 

In generale, dunque, la decadenza dal diritto a fruire dell’agevolazione opera in tutti i casi in cui, indipendentemente dalla volontà dell’investitore, l’investimento non si protrae per almeno un triennio in capo allo stesso investitore, ad eccezione di ipotesi, tassativamente previste, in cui il rispetto della condizione relativa all’holding period non è richiesto, come in caso di trasferimento mortis causa, oppure va verificato avendo a riguardo la data in cui il dante causa dell’investitore ha effettuato l’investimento.

 

Nel caso di specie, l’istante ha partecipato a due aumenti di capitale della società, accettandone i termini e le condizioni, in particolare una clausola espressiva del diritto di trascinamento riconosciuto in capo ai soci di maggioranza da esercitare nei riguardi dei soci di minoranza. A seguito dell’attivazione di tale diritto, con conseguente decisione da parte di soci di maggioranza di vendere l’intero capitale sociale, l’istante, non avendo sottoscritto l’atto di vendita delle azioni, ha ricevuto dalla società la comunicazione relativa all’estinzione delle proprie azioni, con effetto dalla data della vendita dell’intero capitale sociale, e ha conseguito la liquidazione delle azioni a un valore per azione corrispondente a quello pattuito in occasione della vendita.

 

Al riguardo, il MEF ha osservato che la stessa relazione illustrativa al citato D.L. n. 179/2012 evidenzia il vincolo al mantenimento dell’investimento per almeno 3 anni, sottolineando che qualora l’investimento venga ceduto, anche parzialmente, prima del decorso di tale termine, il contribuente decade dal beneficio con l’obbligo di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali.

Il MIMIT, inoltre, ha rilevato che l’estinzione delle azioni dei soci di minoranza, conseguentemente all’attivazione della clausola di trascinamento da parte dei soci di maggioranza, può essere ricondotta tra le ipotesi di recesso o esclusione.

 

In conclusione, sulla base dei pareri resi dai citati Ministeri e in considerazione delle specifiche clausole statutarie, l’Agenzia ritiene che per l’istante si sia verificata, prima del decorso dell’holding period di 3 anni, un’ipotesi di recesso o esclusione dalla società, con conseguente decadenza dal diritto alle detrazioni fruite in relazione agli investimenti effettuati. Pertanto, nel periodo d’imposta in cui si è verificata la decadenza dall’agevolazione, l’istante dovrà incrementare l’imposta lorda relativa di un ammontare corrispondente alle detrazioni effettivamente fruite, aumentata degli interessi legali.

Bonus energia imprese: fruizione del credito nel caso di riaddebito dei costi

L’Agenzia delle entrate ha fornito precisazioni sulle  modalità di fruizione del credito d’imposta per imprese non energivore, nel caso di costi riaddebitati analiticamente (Agenzia delle entrate, risposta 3 luglio 2023, n. 389).

L’articolo 3 del D.L. 21 marzo 2022, n. 21, al comma 1 stabilisce il riconoscimento di un contributo straordinario, sotto forma di credito d’imposta, a parziale compensazione dei maggiori oneri sostenuti per l’energia elettrica acquistata ed impiegata nell’attività economica durante il secondo trimestre 2022, in favore delle imprese energivore.

Tali imprese possono beneficiare del contributo a condizione che il prezzo di acquisto della componente energia, calcolato sulla base della media riferita al primo trimestre 2022, al netto delle imposte e degli eventuali sussidi, abbia subito un incremento del costo per kWh superiore al 30% del corrispondete prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019. Viene riconosciuto, inoltre, un contributo straordinario, sotto forma di credito di imposta, pari al 12% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica, effettivamente utilizzata nel secondo trimestre dell’anno 2022, comprovato mediante le relative fatture d’acquisto.

 

L’articolo 6 del D.L. n. 115/2022, al comma 3, ha previsto un credito d’imposta pari al 15% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica, acquistata ed effettivamente utilizzata nel terzo trimestre dell’anno 2022, a favore delle imprese dotate di contatori di energia elettrica di potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW, diverse dalle imprese a forte consumo di energia elettrica, sempre che il prezzo abbia subito nel secondo trimestre 2022 un incremento del costo per kWh, al netto di imposte e sussidi, superiore al 30% del corrispondente prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019.

 

L’articolo 1 del D.L. n. 144/2022 ha invece previsto, al comma 3, un credito d’imposta pari al 30% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica, acquistata ed effettivamente utilizzata nei mesi di ottobre e novembre dell’anno 2022, a favore delle imprese dotate di contatori di energia elettrica di potenza disponibile pari o superiore a 4,5 kW, diverse dalle imprese a forte consumo di energia elettrica, sempre che il prezzo abbia subito nel terzo trimestre 2022 un incremento del costo per kWh, al netto di imposte e sussidi, superiore al 30% del corrispondente prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019.

Tale credito d’imposta è stato esteso in relazione alla spesa sostenuta per il primo trimestre 2023, nella misura del 35%. Da ultimo il Decreto Bollette, ha ulteriormente prorogato tale misura con riferimento al secondo trimestre 2023.

 

L’Agenzia ha chiarito che i crediti d’imposta maturati, in linea di principio, possono essere fruiti dall’impresa conduttrice che ne sostenga l’effettivo onere economico attraverso un riaddebito analitico, pur non essendo titolare delle relative utenze. Ciò in conformità con la ratio del beneficio fiscale, finalizzato a ristorare le imprese dei maggiori costi sostenuti per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché con il dato letterale della norma, che istituisce il credito d’imposta a parziale ristoro delle spese sostenute per l’acquisto della componente energetica effettivamente utilizzata, nonché dei maggiori oneri sostenuti per l’acquisto di gas naturale.

Il sostenimento delle spese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale deve essere documentato dalle imprese che usufruiscono del credito d’imposta mediante il possesso di copia delle fatture d’acquisto, delle fatture o note di riaddebito delle stesse emesse dall’intestatario del POD, di un atto che preveda espressamente l’imputazione analitica delle spese concernenti le anzidette utenze, nonché di documentazione probatoria relativa all’avvenuto pagamento da parte di quest’ultimo.

 

Nel caso di specie, l’istante riferisce di sostenere inizialmente l’integrale costo delle spese per l’acquisto di energia elettrica e di provvedere successivamente a riaddebitare analiticamente i costi sostenuti.

Pertanto, l’Agenzia chiarisce che in presenza di meccanismi di determinazione del corrispettivo che dovessero comportare nei confronti del cliente finale un analitico riaddebito del costo (aumentato) del prezzo della materia prima, alle imprese non potrebbe essere riconosciuto in misura corrispondente il credito d’imposta.

 

Riguardo al soggetto tenuto all’invio della comunicazione di cui all’art. 1, comma 6, del D.L. n. 176/2022, è previsto che entro il 16 marzo 2023, i beneficiari dei crediti d’imposta, a pena di decadenza dal diritto alla fruizione del credito, inoltrino all’Agenzia delle entrate un’apposita comunicazione sull’importo del credito maturato nell’esercizio 2022.

 

Afferma, in conclusione, l’Agenzia che dal provvedimento del 16 febbraio 2023 di approvazione del modello per la comunicazione dei crediti d’imposta maturati in relazione alle spese sostenute per l’acquisto di prodotti energetici si evince che obbligato all’invio della comunicazione è il beneficiario del credito, ossia il soggetto legittimato ad operare la compensazione, con la conseguenza che la Società è tenuta all’adempimento in esame esclusivamente per i crediti d’imposta di cui lei stessa è beneficiaria.

 

Costituzione diritto di usufrutto e di servitù prediale su terreno agricolo: i chiarimenti delle Entrate

L’Agenzia delle entrate si sofferma in tema di costituzione del diritto di usufrutto e del diritto di servitù prediale su un terreno agricolo, fornendo chiarimenti sul trattamento fiscale del corrispettivo percepito (Agenzia delle entrate, risposta 12 luglio 2023, n. 381).

Ai sensi dell’articolo 981 del codice civile, l’usufrutto attribuisce all’usufruttuario il diritto di godere e di usare la cosa, facendone però salva la destinazione economica. Inoltre, ai sensi dell’articolo 980 del codice civile, l’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo.

 

Dal punto di vista fiscale, l’articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR stabilisce che sono redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, quelli derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili.

 

Relativamente al corretto trattamento fiscale da riservare alla concessione trentennale di un diritto di usufrutto su un immobile da parte di una persona fisica, con la risoluzione n. 20/1993 è stato già chiarito che è del tutto irrilevante la questione posta in ordine all’uso del termine ”concessione”, dal momento che il presupposto impositivo si realizza in capo al cedente il diritto reale di godimento, dovendosi intendere il termine ”concessione” adoperato in senso atecnico in riferimento a tutti gli atti giuridici aventi l’effetto di trasferire ad altri la potenzialità reddituale di un immobile.

Chiarisce, dunque, l’Agenzia che, in applicazione del suddetto articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR, il corrispettivo percepito dal proprietario persona fisica a fronte della costituzione del diritto di usufrutto costituisce reddito diverso da tassare ai sensi del successivo articolo 71 del medesimo TUIR.

 

Ai sensi dell’articolo 1027 del codice civile, la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario e può essere coattiva o volontaria.

Ai fini della tassazione, nel caso della costituzione di tale diritto, la risoluzione del 10 ottobre 2008, n. 379/E ha chiarito che si applica quanto previsto dall’articolo 9, comma 5, del TUIR, ai sensi del quale ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società.

Nella stessa risoluzione, inoltre, si chiarisce che  la costituzione di una servitù va ricondotta all’art. 67, comma 1, lettera b), primo periodo, del Tuir, concernente le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di beni immobili.

 

In base all’articolo 67, comma 1, lett. b) del TUIR sono redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. In caso di cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per donazione, il predetto periodo di cinque anni decorre dalla data di acquisto da parte del donante.

 

Nel caso di specie, il corrispettivo percepito dall’istante, proprietaria da più di 5 anni di un terreno agricolo, per la parte riferita alla costituzione del diritto di usufrutto genera reddito diverso, di cui al citato articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR, costituito, ai sensi del successivo articolo 71, comma 2, dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione.

Quanto alla costituzione del diritto di servitù di cavidotto e di passaggio sulla porzione di terreno agricolo, l’Agenzia ritiene che non emergono plusvalenze tassabili ai sensi del citato articolo 67, comma 1, lett. b), in quanto la costituzione di tale diritto interviene, come affermato dall’Istante, dopo cinque anni dall’acquisto del terreno.

Con riferimento, infine, al corrispettivo percepito per le obbligazioni accessorie a carico dell’istante, che si estrinsecano nell’impegno a non realizzare su propri terreni o immobili adiacenti, anche appositamente acquistati, altri impianti, antenne ed apparati tecnologici, entro il raggio comunque di cinque chilometri dall’impianto, l’Agenzia afferma che lo stesso rientra tra i redditi diversi di cui al citato articolo 67, comma 1, lett. l), del TUIR, in quanto derivante dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.